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Punti Ferita in D&D – Realismo e House Rules

Questo articolo è stato scritto da Bille.Boo, autore e curatore del blog Dietro lo Schermo. Come starete immaginando, si parlerà di PF in D&D ( che si parli di AD&D, D&D 3.5 o D&D 5e, ma il discorso ha senso anche in Pathfinder e in GdR diversi). Cosa sono questi Punti Ferita? Meglio chiamarli HP? Sono realistici (e nel caso, ci interessa?)? Come si possono cambiare le regole per farli funzionare meglio? La risposta a queste domande è dentro di voi, però è sbagliata (cit.). Quindi leggete l’articolo. Ricordate che se è bello è merito mio che l’ho invitato a scrivere e se è brutto è colpa sua che l’ha scritto.

Level Up letterpress | Some "level up" cards I made, picture… | Flickr
Ogni lvl up i PF aumentano un sacco. Molto più di quanto non aumentino i danni. (fonte img)

C’è un filone di vignette che è ormai un grande classico della rete. Sono diverse, ma hanno in comune gli stessi elementi: un nemico crivellato di colpi, in vario modo mutilato, o addirittura decapitato, che però si regge ancora in piedi; e l’eroe che si lamenta dicendo: “Questo dovrebbe essere morto! Non m’importa se gli restano dei punti ferita!” (o il master che si scusa per questo fatto, o simili).

Quando Nerdcoledì mi ha offerto l’onore di scrivere un articolo sul suo sito, e ho scelto come argomento i punti ferita, non ho potuto non pensare a quelle vignette. Incarnano alla perfezione il rapporto di amore-odio che noi giocatori di D&D e affini abbiamo con quella buffa variabile.

Di cosa parliamo

Quelli che in lingua italiana chiamiamo punti ferita, nell’originale inglese di D&D sono gli hit points, termine che potremmo tradurre un po’ volgarmente con “punti colpo”. Da notare che altri giochi usano lo stesso acronimo, HP, per indicare health points, punti salute, ma D&D non ha mai abbracciato questo termine, preferendone uno più astratto; è un peccato, quindi, che la traduzione italiana introduca quel concetto di “ferita”, così fuorviante. [1]

Le origini

Come forse sapete, D&D deriva dai wargame, giochi di simulazione militare in cui si controllavano intere armate. Lì non si poneva il problema dei punti ferita, ovviamente: chi si curava dello stato di un singolo soldato? O era vivo o era morto, stop.

Quando Gygax e Arneson iniziarono a tratteggiare un regolamento in cui, al contrario, ognuno impersonava un singolo combattente, si resero conto che era molto insoddisfacente che bastasse un solo colpo a “buttarlo giù”. Eppure, attenzione: tra tutte le soluzioni semplici, sarebbe stata probabilmente la più realistica! Nel mondo reale, infatti, è ben difficile che un uomo riesca ancora a combattere efficacemente dopo aver ricevuto in corpo anche una sola freccia o un solo fendente di spada. Due veri schermidori in duello parano e schivano decine di volte, finché uno non viene toccato e zac, il duello finisce. Non c’entra il realismo, quindi: la cosa era insoddisfacente da un punto di vista squisitamente ludico, “giochista”.

Così, ispirandosi ad un altro tipo di wargame (quelli di battaglie navali), introdussero un sistema di punteggi che permettesse a un personaggio, o un mostro, di assorbire un certo numero di colpi (hits, appunto) prima di cadere, da cui il termine hit points. [3]

L’evoluzione

Nel corso delle edizioni di D&D ci sono stati vari cambiamenti [2] [7], sia nel modo di determinarli sia nell’ammontare, ma il principio è rimasto il medesimo: hai una certa quantità di pf, che aumenta con il livello; ogni volta che subisci danni li detrai dai tuoi pf; quando i pf arrivano a zero sei fuori gioco (morto, moribondo, privo di sensi o altro).

Nelle edizioni più “vecchie” la crescita dei pf rallentava molto una volta raggiunto il 9° o 10° livello. [4] Recuperare i pf persi era penoso e difficile, specie in assenza di ausili magici. Arrivare a 0 pf significava morte istantanea, salvo regole opzionali.

Dalla terza edizione, invece, l’aumento dei punti ferita con il livello tende ad essere molto marcato: si può avere facilmente un fattore 10 o 15 (anche di più) nel corso dei 20 livelli. Inoltre diventa default una “zona cuscinetto” di pf negativi in cui stai morendo ma non sei ancora morto.

Le edizioni più recenti (la quarta e la quinta) hanno reso molto facile recuperare i pf in breve tempo, anche in totale autonomia, quindi è sempre più probabile che i personaggi inizino ogni incontro con la loro brava scorta di pf portata al massimo.

Che c’è di buono

Il sistema dei punti ferita è ormai un grande classico dei giochi da tavolo e dei videogiochi: è semplice, veloce, intuitivo. I suoi molti vantaggi, in effetti, sono legati proprio alla sua mancanza di realismo.

Progressività senza spirali

Immaginiamo uno scontro di 5 round. Ci piacerebbe un sistema in cui i contendenti passano 4 round a scambiarsi colpi schivati, mancati, parati o deviati, senza farsi niente, finché al quinto uno di loro ha fortuna, trapassa il nemico e lo stende?

Ammettiamolo, sarebbe piuttosto noioso. I primi 4 round ci sembrerebbero inutili, sprecati, oltre che ripetitivi; al 4° round la situazione non è diversa da quella che si aveva al 1°. Se invece, a parità di durata, quei primi 4 round vengono usati per farsi dei danni a vicenda, ognuno è un passo avanti verso la vittoria: è questo il senso di progressività di cui abbiamo parlato.

Vale anche all’inverso, per la sconfitta: se accumulo pian piano dei danni ho la sensazione di quanto mi sto avvicinando alla fine e posso prendere delle contromisure, come curarmi, bere una pozione, battere in ritirata. Se invece si tratta solo di aspettare il tiro sfortunato che in un colpo solo mi manderà all’altro mondo, è come una roulette russa: non posso fare niente se non incrociare le dita e sperare.

A questo punto in molti si chiedono: non potremmo fare che quei danni, man mano che li accumulo, hanno già un effetto, rendendomi via via più debole, dandomi penalità o simili? Non sarebbe più realistico? Lo sarebbe, ma avrebbe un problema: la cosiddetta spirale verso la morte. Più vengo danneggiato, più è probabile che io venga danneggiato di nuovo (e/o improbabile che io riesca a danneggiare te di rimando); quindi, dopo i primi colpi andati a segno, si sa già come andrà a finire. Quei primi colpi diventerebbero un surrogato dell’insta-kill che abbiamo criticato all’inizio, con l’aggravante che dopo siamo obbligati pure a giocare ulteriori round noiosi dall’esito prevedibile.

Il fatto che perdere punti ferita non comprometta le capacità di combattimento è un pregio del sistema, non un difetto: dà un senso di progressività senza causare questa spirale negativa.

Riduzione del danno, ma più facile

Un’altra cosa irrealistica dei punti ferita è il loro aumento vertiginoso con il livello. Che senso logico ha che un personaggio esperto abbia così tanta “salute” in più rispetto a un uomo comune? È un’obiezione sensata. Pensateci: non sarebbe meglio se i punti ferita fossero sempre gli stessi, e ad aumentare col livello fosse semmai una qualche “capacità difensiva”, rappresentata magari da una riduzione del danno?

Il fatto è che, come sottolineato in un brillante articolo di DM David [5], l’aumento dei pf fa esattamente questo.

Mettiamo che una recluta abbia 10 pf, e che un suo colpo di spada infligga 6 danni. Se due reclute si scontrano, ognuna dovrà mettere a segno due colpi per stendere l’altra: ogni colpo azzeccato dà un progresso di 6 su 10 verso la vittoria.

Ora facciamo scontrare una recluta con un veterano. Se i punti ferita fossero una misura della salute e dell’integrità fisica non dovrebbe averne più della recluta. La cosa più realistica sarebbe che fosse, invece, molto più difficile per la recluta colpirlo. Ma in questo modo si ricadrebbe nel noioso combattimento tipo “roulette russa” che abbiamo contestato prima: la recluta non farebbe che inanellare colpi mancati senza alcun senso di progressività, a meno che non abbia un colpo di fortuna, piazzi un bel critico e stenda il veterano di botto.

Facciamo, allora, che la probabilità di colpire rimane decente (minore rispetto a quella di colpire un’altra recluta, certo, ma decente), ma le maggiori capacità difensive del veterano gli permettono di ridurre i danni di 4 punti, oppure di ridurli a un terzo.

(Parentesi. Una riduzione relativa, per divisione, è più “pulita” di una per sottrazione: con la sottrazione un danno piccolo viene completamente azzerato e un danno molto grosso rimane praticamente intatto, per cui è più difficile bilanciare tra loro i diversi livelli. D’altro canto le divisioni sono più onerose da fare a mente rispetto alle sottrazioni, quindi i giochi da tavolo tendono purtroppo a ripiegare su queste ultime.)

Insomma, anziché 6 danni per colpo, il veterano ne subisce dalla recluta solo 2 per colpo. Così torna la progressività: ogni colpo azzeccato dà un progresso di 2 su 10 verso la vittoria; meno del 6 su 10 che si avrebbe contro un’altra recluta, certo, ma meglio di niente. Un gran numero di reclute potrebbe impensierire il veterano.

Ebbene, si ottiene lo stesso risultato, ma in modo matematicamente molto più semplice, se si lasciano i danni come sono e si aumentano direttamente i pf totali del veterano: diciamo a 30. Un progresso di 6 su 30 per colpo è uguale a uno di 2 su 10, con la differenza che non devo stare a fare sottrazioni o divisioni su ogni istanza di danno, quindi si va più spediti.

Flessibilità di interpretazione

Un altro aspetto spesso criticato dei punti ferita è che sono dannatamente astratti. Cosa rappresentano veramente? Sono salute, energia, fortuna, integrità fisica, combattività, determinazione? Quando un personaggio perde pf che cosa gli è successo, concretamente, nel mondo immaginario? Nessuna regola lo dice con precisione. Nel corso delle edizioni la definizione dei pf è passata attraverso varie supercazzole, ma tutte più o meno concordi nel dire che sono un mix di tutte le cose che ho elencato.

Anche questo, in realtà, è più un vantaggio che uno svantaggio: lascia liberi di narrare le conseguenze di un colpo nel modo che si preferisce, come è più adeguato per la fiction. [6] Basterebbe fate attenzione a due punti fondamentali.

Primo, non contraddire le meccaniche, il che significa che non si deve narrare l’insorgenza di gravi debilitazioni (emorragie, mutilazioni, ossa rotte…) quando la meccanica di gioco non le supporta.

Secondo, relativizzare. Come abbiamo detto sopra, i pf non sono un ammontare assoluto ma incorporano in sé una sorta di riduzione del danno implicita. Questo significa che “10 danni” non hanno sempre lo stesso significato: la descrizione andrebbe invece adattata (grossomodo) al rapporto tra il danno e i pf totali di chi lo riceve. Se vengono inferti a un goblin di 1° livello con 4 pf, posso tranquillamente descriverlo come un colpo devastante che lo spezza in due. Se invece è un ranger di basso livello con 18 pf, posso descriverlo come un brutto colpo che lo mette in seria difficoltà. Se si tratta di un gigante con 80 pf lo descriverò come una modesta ammaccatura che fa comunque male. Infine, se parliamo di un guerriero epico che tra potenziamenti alla Cos e tutto arriva a 200 pf e più, lo descriverò come un graffietto da niente.

Una buona prassi per le descrizioni è iniziare a parlare di vere e proprie ferite solo quando i pf attuali di un personaggio si avvicinano a zero; in generale, quando scende sotto al 15% o 10% del totale. A quel punto, dire al giocatore che il PG è “ferito”, anche se non in modo debilitante, può far scattare un campanello di allarme per farlo riflettere sul rischio che corre. Ma se gli resta ancora una buona parte dei pf parlare di ferite è sconsigliabile.

Le principali magagne

D’altra parte, non mancano le critiche al sistema dei punti ferita: è senz’altro molto astratto e irrealistico, uno degli aspetti più platealmente irrealistici di D&D. Al punto da cozzare, secondo qualcuno, con la sospensione dell’incredulità.

Si fa presto a dire flessibilità

Torniamo subito sulla flessibilità di interpretazione del significato dei danni. Ho detto che è soprattutto un vantaggio e ne sono convinto. Tuttavia, non si può negare che ci siano situazioni in cui, nella fiction, fa molta differenza se un personaggio è ferito, è contuso, o ha solo scansato un colpo per un soffio e ha perso un po’ di determinazione. Se narro la cosa in uno di questi modi, credendo che sia indifferente, ma nella scena successiva mi trovo di colpo in una situazione imprevista in cui non è indifferente per nulla, potrei trovarmi in imbarazzo.

Si fa presto a dire riduzione del danno

Ok, l’inflazione enorme dei pf con l’aumentare del livello è un modo di rappresentare la maggiore capacità di difendersi, e questo è molto pratico: lo abbiamo detto. I danni, quindi, vanno intesi come quantità relative e non assolute: e va bene. Però ci sono circostanze in cui, a logica, la capacità di difendersi del veterano di alto livello non dovrebbe contare nulla.

Le cadute, per esempio: ha senso che un eroe di alto livello possa sopravvivere cadendo da 10 volte o 15 volte più in alto di un novellino? Non molto, ammettiamolo.

Oppure tutti i casi in cui c’è una minorata difesa. Se ti attacco frontalmente e duelliamo, mi torna che la tua grande bravura ti permetta di ammortizzare e neutralizzare i miei colpi, ma se ti attacco alle spalle, o da invisibile, o ti pianto un pugnale nel petto mentre stai dormendo, perché il tuo livello dovrebbe contare? Per ragioni “giochistiche”, indubbiamente. Ma trovare un escamotage logico per giustificare la cosa nell’immaginario è un po’ un arrampicarsi sugli specchi. Qualcuno tira in ballo la fortuna come spiegazione, ma regge solo entro certi limiti, e le edizioni più recenti di D&D li superano di molto.

E le guarigioni?

Soprattutto: perché una guarigione dovrebbe avere effetto relativo? Cioè, perché quando la mia superiore bravura, abilità e fortuna di veterano mi permettono di ridurre i colpi della recluta a graffietti, anche gli incantesimi di cura che mi rimettevano in sesto quando ero recluta ora dovrebbero limitarsi a curarmi un graffietto?

In questo faceva bene, duole dirlo, la bistrattata quarta edizione, in cui le principali guarigioni avevano un effetto proporzionale ai pf totali di chi le riceveva.

Ma poi, più in generale: che cos’è una guarigione? Se i punti ferita rappresentano un insieme così variegato di cose, gli incantesimi curativi che cosa fanno nel concreto? Devono essere davvero prodigiosi se sono in grado, a seconda dei casi, di rattoppare le ferite oppure di conferire fortuna oppure di ridare la combattività e la fiducia in sé stessi.

Non così in fretta!

Abbiamo spezzato una lancia in favore della quarta edizione, quindi spezziamone una contro, per par condicio: è con lei che viene conferita ai personaggi una capacità di auto-guarigione, con il riposo, veramente rapidissima, tale da sfidare ogni sospensione dell’incredulità. In quinta edizione la cosa viene un po’ attenuata, ma molti la ritengono ancora troppo inverosimile.

Il fatto è che, se immagino il mio PG danneggiato come se fosse semplicemente demoralizzato o stanco, non è troppo strano che dopo aver riposato un’oretta ed essersi rifocillato possa tornare nel pieno delle forze, anche senza l’aiuto di magie. Ma se a danneggiare il mio PG era stato un juggernaut passandogli sopra due o tre volte con i suoi rulli giganti di pietra, descriverlo solo come “demoralizzato e stanco” è un po’… insoddisfacente, diciamo. Però, se lo descrivo come coperto di sangue e dolorante, come faccio a giustificare che in pochi minuti sia più vispo di prima?

Ma l’eccessiva efficacia rigenerante del riposo crea problemi che vanno ben oltre l’aspetto del presunto “realismo”. Nelle edizioni più vecchie, infatti, D&D era fortemente caratterizzato come un gioco in cui contava il consumo progressivo delle risorse (resource attrition); in questo i pf funzionavano benissimo. Ne avevi parecchi (ai medio-alti livelli), ma erano molto difficili da recuperare, quindi dovevi “gestirteli” bene: il problema non era tanto sfangare il singolo combattimento, quanto farseli bastare per l’intero dungeon.

Adesso, invece, è praticamente normale che all’inizio di ogni scontro i pf siano tornati al massimo. Sono passati dall’essere una risorsa di lungo periodo, da giostrare su diversi incontri, all’essere una risorsa limitata all’incontro singolo. Il che, paradossalmente, spinge verso incontri sempre più letali, perché se nemmeno un PG va “in terra” nel corso di un combattimento esso diventa quasi irrilevante. Quasi, eh, perché per fortuna ci sono altre risorse (es. gli slot incantesimi) che sono rimaste di lungo periodo. Ma la perdita, credetemi, si sente.

Sistemi alternativi

Nelle mie home rules casalinghe (ormai così diverse da quelle dei manuali da costituire un coacervo mutante a sé), blandamente eredi di D&D 3.5, ho usato per molti e molti anni un approccio alternativo, in cui:

  • i pf avevano una crescita parecchio lenta con il livello (nei 20 livelli potevano raddoppiare o al massimo triplicare), mentre il livello andava a incidere sulla CA;
  • dopo aver perso tre quarti dei suoi pf un personaggio iniziava a essere “davvero” ferito, e aveva delle penalità (un’azione in meno per turno).

Funzionava bene, non ho mai avuto di che lamentarmi. Molte di quelle che ho indicato come magagne risultavano attenuate, anche se non sparivano del tutto.

Siccome sono un eterno insoddisfatto, però, di recente ho iniziato a sperimentare un altro sistema. Uno in cui ogni PG e ogni nemico importante ha sempre, esattamente 10 pf; e in cui perdere “troppi” pf fa accumulare delle ferite vere e proprie, delle fonti di penalità e di rotture di scatole che rimangono appiccicate al disgraziato per molto tempo. Solo che: (a) ho appena iniziato il playtest, (b) questo articolo è già troppo lungo.

Tornerò a parlarvene in futuro, se Nerdcoledì sarà ancora così gentile da ospitarmi. Intanto, lo ringrazio e vi saluto.

Bibliografia

  1. https://www.pcgamer.com/the-history-of-hit-points/
  2. https://dungeonsdragons.fandom.com/wiki/Hit_points
  3. https://dmdavid.com/tag/the-tangled-origins-of-dds-armor-class-hit-points-and-twenty-sided-die-rolls-to-hit/
  4. https://dmdavid.com/tag/would-dungeons-dragons-play-better-if-it-stayed-loyal-to-how-gary-gygax-awarded-hit-points/
  5. https://dmdavid.com/tag/the-brilliance-of-unrealistic-hit-points/
  6. https://blog.d4caltrops.com/2015/01/ablative-armor-or-how-i-stopped.html
  7. https://www.dragonslair.it/index.html/articles/i-dadi-vita-nella-storia-di-dungeons-dragons-r1581/




Inserirò l’articolo nel paragrafo Teorie sui GdR. Se non ne avete avuto abbastanza di pipponi, là ne trovate a volontà!
Poi vi consiglio nuovamente di guardare il suo Blog. Inoltre se volete approfondire, ho intervistato l’autore e potete leggere le sue risposte qua.

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13 commenti su “Punti Ferita in D&D – Realismo e House Rules”

  1. Io sono un amante dei Punti Vita (PF, HP, chiamateli come vi pare) perché semplificano di gran lunga i combattimenti e si riesce a gestire la “progressione” molto più facilmente. I difetti principali sono spesse volte dati dal fatto che si continua a pensare ai punti vita come ferite inflitte, invece che come graffi, lividi, stanchezza e demoralizzazione. Il juggernot che ti è passato sopra con i rulli, ti avrebbe reso parte integrante del pavimento, non ti avrebbe “ferito”: il tuo guerriero è sempre riuscito ad evitare quei rulli, prendendosi botte, graffi, lividi e stancandosi a dismisura. Certo, sono astratti e questo può portare diverse volte a dire semplicemente “ti fa TOT danno”, ma spesse volte è un bene perché descrivere ogni singolo colpo può portare a noia od a situazioni assurde.

    Riguardante il ripristino dei PV è molto meglio come funziona adesso che non come funzionava prima: prima dovevi stare “allettato” mesi e mesi prima di andare nella “prossima stanza”; adesso è più come i film di azione: avete mai visto “Die Hard” o similari? Avete visto in che condizioni si riducono? Poi c’è una scenetta in cui chiacchierano cinque minuti al massimo e sono di nuovo pronti a darle di santa ragione a chiunque e ricevere altre caterve di danni (PF ripristinati al massimo). Perché faccio il paragone con Die Hard? Perché D&D è un gioco di azione!

    Il fatto che non ti possano tagliare la gola di soppiatto o non ti possano uccidere mentre dormi, è un bene: sono nato e cresciuto a suon di Tex Willer, Batman, ecc. e lì nessuno muore perché qualcuno cerca di tagliarli la gola nel sonno: più sei in gamba, più ti accorgi dei pericoli in tempo. Tex Willer si sveglia sentendo i passi sul pavimento, Batman entra in allerta notando un movimento nelle ombre; entrambi schivano all’ultimo istante e si preparano alla battaglia: hanno solo perso alcuni PF! Là dove invece un cow boy senza arte né parte, non avrebbe mai fatto in tempo a schivare quel colpo e ci sarebbe rimasto secco (pochi PF).
    Ci possono essere altri modi per rappresentare questo, ma vi assicuro che sono decisamente più complessi e molto improntati all’alea. I Punti Vita risultano essere più efficaci di almeno 10 volte!

    La CA, secondo me, porta appresso un mare di problemi, ma non è il fulcro dell’articolo.

    L’unico difetto che posso eventualmente trovare nei punti vita è per alcune situazioni molto particolari e mirate. Ma sono appunto particolari e mirate e quindi non fanno testo in un discorso generale.

    Ciao 🙂

    1. Ciao, grazie dei tuoi commenti. Mi sembra un punto di vista del tutto valido da parte di una persona che ama questo sistema e abbraccia in toto i suoi pregi senza essere impattata dai difetti. È un’ottima cosa! Significa che è già perfetto per le tue esigenze, una vera fortuna.

  2. È un articolo che mi trova d’accordo… Specie il txc -x, i pf si riducono è -x sale, è questo -x renderlo improbabile (per lo meno nel gioco)

  3. Personalmente apprezzo molto il sistema dei pf, sia per motivazioni pratiche che ruolistiche.

    A livello pratio è un buon misuratore e “campanello d’allarme” per quando la salute del pg di turno è messa alle corde, più i pf sono bassi, più è vicino al canonico “kicking the bucket”, e rispetto ad altri sistemi di gioco (mi viene in mente il sistema di Only War, sistema d100 di warhammer 40k) è sì più semplicistico, ma questo non fa che aiutare la fluidità della narrazione, certo, è carino avere tutto un set di penalità per un certo livello di salute e non, ma porta solo ad un sistema che va ad anchilosarsi nel lungo periodo (specialmente se si dispongono di cure magiche o altre risorse di recupero rapido).

    E proprio nella narrazione sta il mio secondo punto: a differenza di un videogioco, in un gdr i pf possono essere “narrati” dal giocatore o dal master: barbaro con 300 pf e si prende una sberla da 100? Master o giocatore possono descrivere l’evento di come abbia evitato l’attacco, ma a costo di uno sforzo personale allucinante, uscendone sì graffiato, contuso e magari con qualche osso incrinato, ma vivo, per un personaggio che gioca di destrezza riesce a ribattere o trovare la svicolata dalla lama che stava per troncarti la carotide o direttamente decapitarti all’ultima frazione di secondo, ma a costo di letteralmente vedere la sua vita scorrergli davanti agli occhi e riconsiderare quale delle sue scelte di vita lo hanno condotto in quella situazione orripilante, e via discorrendo.

    Per la questione del meme “ha ancora un punto ferita”, narrativamente mi piace vederla con il concetto che se un gruppo di avventurieri va in una situazione di vita o di morte (i draghi son sulla copertina ed il nome di d&d mica per nulla dopotutto xD) sono sufficientemente certo che nel mezzo del combattimento il gruppo avrà in corpo più adrenalina che sangue, in quello stato il dolore è relativo, magari a fine combattimento (se ne escono vivi) possono collassare dallo stress o lo sforzo fisico.

    Prendendo d&d 3.5/ pathfinder / 5e (chiedo venia ma sono i sistemi che conosco meglio) la faccenda si combina con il discorso dei punteggi abilità, un pg con molta costituzione è un individuo che ha passato praticamente tutta la sua vita ad allenarsi o ha direttamente il fisico naturalmente portato a sopportare più danni della media, l’esperienza conferita dal livellare aiuta solo ad affinare qualcosa che è già presente nel suo essere dal primo livello, se non fisicamente tramite il bagaglio dell’esperienza (e per l’avventuriero di d&d medio, aver affrontato n+1 besti ed amenità varie ed essere uscito vivo per raccontarlo… magari col 300% di traumi extra offerti dalla casa) uno con 26 in destrezza ha dei riflessi al limite dell’inumano.

    Per le cure magiche l’ho sempre vista non come una rigenerazione alla Wolverine (eccezion fatta per l’incantesimo omonimo) ma come un “iniezione” di energia extra che va a riportare il corpo al suo precedente stato di salute o vigore, andando poi a chiudere tagli, contusioni o risistemare l’eventuale organo interno tramutato in un nuovo tipo di budino dall’artigliata del drago rosso di turno, una cura potente comporta un maggiore dispendio di risorse, ed ècompito del party razionarle in modo da poter uscire dal dungeon tutti in un pezzo solo e con lo stesso numero di fori in corpo con cui sono entrati.

    Alla fine della fiera, che siano affinati da un misto di allenamento, doti naturali, mezzi magici o magari alchemici, il mischione dei vari elementi porta ad una narrativa che è stata ben riassunta da Red Dragon (by the way, kudos per il post, mi ha ispirato parecchio)
    Alla fine della fiera i pf sono generalmente un modo semplice ed efficace per definire quella linea nebulosa che separa un pg a caso dal contrarre un lievissimo caso di morte 🙂 .

    Infine, Complimenti all’autore dell’articolo per la qualità e la puntualità!

    1. Grazie per i complimenti! Se ti piacciono i miei articoli sei benvenuto sul mio blog! (pubblicità progresso XD)

      Sono tendenzialmente d’accordo, nel senso che, se ci si trova bene con i punti ferita per il proprio stile di giocare, interpretarli come dite tu e Red Dragon è sicuramente l’approccio migliore.

      Riguardo alle cure, però, il mio punto era proprio che, apparentemente, più un personaggio è tosto e allenato (di livello alto), più la stessa iniezione di energia (= lo stesso incantesimo di cura) diventa *poco* efficace per lui.

      Anche qui naturalmente, come negli altri, casi, possiamo inventarci una supercazzola per razionalizzare la cosa: ad esempio, più sei tosto e allenato più una quantità “umana” di energia non ti basta più, ti serve lo sballo forte, la dose da cavallo. Legittimo, comprensibile, e finché tutti sono contenti funziona.

      Volevo solo evidenziare una delle possibili critiche che alcune persone, con un approccio diverso, potrebbero rivolgere al sistema.

      1. Mi trovi d’accordo su tutta la linea, alla fine basta divertirsi in compagnia, indipendentemente dal sistema che si usa ^^

  4. Apprezzo molto il sistema dei punti ferita, sia da un punto di vista meccanico/regolistico che pratico/narrativo.
    Premetto che la maggioranza dei miei esempi ed esperienze viene da d&d 3,5, pathfinder e 5e, per il fatto che sono i sistemi che gioco attualmente e con cui sono più familiare.

    Sotto l’aspetto meccanico i punti ferita sono sì una semplificazione, ma una che verge a favore della fluidità di gioco, ho provato ed asisitito a sistemi anche radicalmente differenti dai miei soliti (vampiri la masquerade e warhammer 40k con il suo d100 system in particolare) dove il primo ha un sistema che trovo a mio gusto personale troppo macchinoso e lento, una gestione dei pf anche più approssimata di d&d, ma con una ottima base nel d10 system, il d100 di warhammer ha il sistema di gestione di pf più accurato che ci sia, arrivando ai singoli arti e relative penalità, ma è di una lentezza a dir poco terrificante ed un incubo (a mia esperienza) da tener conto di tutto in tempo reale.

    Per il lato narrativo, i gdr hanno un enorme vantaggio rispetto ai videogiochi in questo aspetto: non sono confinati da un programma, di conseguenza la narrativa dei singoli eventi può aiutare a spiegare come un personaggio di alto livello riesca a prendere più colpi di uno di primo livello, un misto di istinto, riflessi, costituzione naturale, esperienza in battaglia e un filo di buona e sana fortuna.

    Riprendendo il concetto dei punteggi caratteristica, un pg con alta costituzione ma bassa destrezza reagirà differentemente rispetto ad uno con bassa costituzione ma alta destrezza: dove il primo potrebbe reagisce all’artigliata di un drago, incassa il colpo evitandolo all’ultimo ma beccandosi un bel taglio, contusioni e magari qualche costola incrinata, che sì sanguina, ma non è letale nell’immediato, il secondo magari riesce ad evitarlo per istinto all’ultima frazione di secondo, ma vedendosi passare tutta la sua vita davanti.
    La grossa differenza si riassume in quanto e come i personaggi reagiscono a situazioni di pericolo e come reagiscono allo stress dell’avere letteralmente la morte in faccia.

    La situazione delle cure magiche l’ho sempre vista come una sorta di “iniezione” di energia vitale esterna (o energia positiva se andiamo nei Forgotten Realms) che va a riportare il corpo martoriato al vigore originario e rimarginando le ferite ricreando da zero la materia organica perduta (ad esempio rigenerazione) senza abusare delle risorse del corpo (ed evitare magari un invecchiamento precoce o scene assurde alla Wolverine senza avere il suo fattore rigenerante).

    Sotto l’ultimo aspetto del meme del “tanto ha ancora un punto ferita”… io provo a mettermi nei panni di un povero disgraziato di avventuriero che si deve affrontare draghi, nonmorti, ed n+1 amenità assortite da una buona trentina di manuali dei mostri diversi… non è esattamente un’esagerazione dire che in quegli scenari si possegga più adrenalina che sangue in corpo, certo, dopo magari collassi dal misto di sforzo fisico, contusioni, tagli e stress… ma almeno sei ancora vivo e che respiri.

    Personalmente mi piace riassumere i punti ferita come “la sottile linea che separa l’esperienza di un avventuriero tra l’essere vivo all’essere afflitto da un leggero attacco di morte”.

    Per concludere non posso che fare i complimenti sia all’autore dell’articolo per la sua esaustività che al commento di Red Dragon, mi hanno parecchio ispirato per questo commento.

  5. Hmm no.. non è corretto dire che il combattimento finisce al primo colpo messo a segno. Certo un colpo BEN messo a segno senza nessuna armatura fa finire velocemente un combattimento, ma con armature/protezioni e colpi che non colpiscono parti vitali si può andare avanti relativamente a lungo.
    Giusto per portare un esempio “laterale” di simulazione” plausibile c’è il videogioco Bushido Blade, dove appunto un colpo a segno può sì uccidere sul colpo, ma anche rendere inutilizzabile un arto cosa che rende MOLTO più difficile il combattimento alla persona ferita, ma comunque può continuare a combattere.

    1. L’articolo non è mio, ma secondo me il senso della spirale della morte è proprio quello.
      Io cito Rolemaster perchè l’ho giocato un po’.

      Qui se metti a segno un bel colpo, puoi stordire l’avversario per 2 round.
      Quindi hai ottime possibilità di mettere a segno un altro bel colpo, col quale magari lo butterai a terra o gli causerai danni semi-permanenti.
      Questo renderà l’esito del combattimento molto prevedibile.

      Certo, non sicuro al 100%, ma diciamo che le possiiblità di vittoria per il poveretto colpito per primo si riducono.
      Certo, è realistico, però è meno divertente!

    2. Ciao, grazie del tuo commento.

      Qualunque cosa si pensi su come funziona il combattimento “davvero”, credo che possiamo concordare che D&D e i suoi punti ferita *non* sono una simulazione plausibile, né intendono esserlo. Una simulazione plausibile funzionerebbe in modo radicalmente diverso.

      Nell’articolo ho cercato di spiegare come mai sono stati adottati i punti ferita anziché la simulazione plausbile.

      Non mi sembra di aver detto che in una simulazione plausibile il combattimento finirebbe al primo colpo messo a segno; ho solo detto che sarebbe la soluzione più plausibile tra quelle *semplici*, e ho parlato di “spirale della morte” che è proprio quello che avviene quando si comincia a parlare di arti menomati e simili. 🙂

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